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“Dai diamanti non nasce niente”. L’intervista di Simone Andrani sullo scoutismo

by Redazione
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Sin dalla notte dei tempi, l’uomo ha sempre cercato di comprendere e di fare propri i segreti dell’esistenza tramite la definizione di un rapporto diretto con l’ambiente che lo circonda; per avere a pieno contezza di questo è però necessario essere consapevoli che dietro al raggiungimento di tale obiettivo si cela, e si è celato da sempre, il forte desiderio di acquisire strumenti utili ad interpretare l’altro e soprattutto il proprio “io”.

L’eterno rincorrere la veritá su sé stessi e gli altri, facendo leva sulle risorse che la natura offre, ha portato allo sviluppo di movimenti morali e spirituali come, per esempio, quello dello scoutismo, nato nel 1907 da un’idea di Robert Baden-Powell, un generale inglese a cui va riconosciuto il merito di aver percepito quanto fosse importante il determinarsi di un sistema educativo e formativo di caratura mondiale che contemplasse la fratellanza e la cooperazione tra le genti, partendo dai più giovani.

Ma andiamo a conoscere meglio lo scoutismo attraverso l’esperienza di Daniele, un giovane ventottenne che dall’età di 8 anni veste i panni dello scout…

Che cos’è lo scoutismo? In che consiste?

«Lo scoutismo è espressione di un sistema educativo che prevede l’osservazione, da parte di chi decide di aderirne, di una serie di dettami fisici, spirituali e morali, tra cui l’accettazione del proprio corpo e dei propri limiti, l’integrazione dell’altro e l’assuefazione al senso civico.
La “formazione” scout varia a seconda dell’età e della categoria di appartenenza che può essere quella dei “lupetti”o delle “coccinelle”, quella degli “esploratori” e quella delle “guide”, dunque quella dei “rover” e delle “scolte”.
Nella prima branca si annoverano i bambini tra gli 8 e gli 11 anni, stimolati a fare propri quei principi volti a favorire lo sviluppo fisico e mentale da giochi e avventure che rimandano a “Il libro della giungla” di Rudyard Kypling (se qualificati “lupetti”), o da imprese ispirate da quelle narrate nei “Sette punti neri” da Cristiana Ruschi Del Punta (se facenti parte delle “coccinelle”).
Nella seconda branca si collocano i ragazzi tra i 12 ed i 15 anni, incentivati a maturare attraverso il campismo e l’assunzione di un impegno costante nei confronti del prossimo.
Nella terza branca, invece, rientrano i giovani tra i 16 e i 20 anni (rover se di sesso maschile, scolte se di sesso femminile), incaricati di mettersi al servizio della comunità”; ovviamente ogni branca è “guidata” dai suoi capi scout (solitamente di età superiore ai 21 anni).
Al di là delle informazioni fornite in precedenza, prima di qualsiasi altra cosa credo sia necessario comprendere che la particolarità del sistema/metodo educativo scout stia nella capacità dei capi scout di forgiare il corpo e l’anima degli uomini e delle donne del domani».

La scelta di vestire i panni dello scout è stata frutto del caso o è stata dettata da una tua volontà?

«Se devo essere sincero, è avvenuto tutto un po’ casualmente anche se, grande merito va dato alla mia famiglia, rea di aver compreso sin da subito quanto potesse essere significativa un’esperienza del genere per un esserino in procinto di incamminarsi in un percorso destinato a renderlo un buon adulto del futuro. Ci tengo a dire che, seppur lo scoutismo sia permeato in me negli anni, ho attraversato un periodo che mi ha portato ad accantonarlo… ma si sa che “certi amori non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano”.
Nel porre fine al mio allontanamento dal mondo degli scout, probabilmente dovuto all’apatia a cui la pandemia ci aveva abituati, fondamentale è stato sapere che i gruppi scout locali fossero (così come lo sono adesso) alla ricerca di persone capaci di trasmettere l’energia positiva accumulata e prodotta dal contatto avuto con l’altro e con la natura».

In virtù della tua esperienza da educando prima e da capo poi, cosa ti sentiresti di dire per avvicinare sempre più persone allo scoutismo?

«Mi sentirei di dire loro di guardare allo scoutismo come uno strumento utile a fare un’approfondita analisi del rapporto con sé stessi e gli altri affrontando, così, le paure più nascoste.
Un’esperienza, come può essere quella di cui stiamo parlando, è in grado di impartire lezioni atte a far realizzare che nessuno si salva da solo e che la vita è un cammino zeppo di difficoltà, le quali possono essere considerate essenziali per “crescere” (a qualunque età) dando, così, peso alle nostre azioni e alle conseguenze che esse possono avere, sia su di noi che sugli altri.
Avvicinarsi allo scoutismo aiuta a tenere sempre in considerazione tutte quelle teorie secondo cui a un’azione corrisponde sempre una reazione; non  sarebbe un azzardo, dunque, affermare che un modello educativo come quello dello scoutismo sia in grado di soddisfare il bisogno di ognuno di poter far affidamento su di un mezzo che lo investa di un’energia così potente, che lo renda in grado di individuare la soluzione giusta al momento giusto, senza lasciare nulla al caso e senza farsi prendere dall’ansia».

Si conclude così una chiacchierata molto interessante e per certi versi “formativa”. Leggendo tra le righe di quanto sostenuto da Daniele, si viene indotti a considerare lo scoutismo come un’opportunità da cogliere per cercare di trovare una qualche risposta sul mondo circostante e su ciò che la vita pone davanti a noi, giorno dopo giorno.

Sostanzialmente il “meccanismo metodologico” ideato da Baden-Powell è orientato a facilitare coloro che ne sposano i principi, ad entrare nell’ordine di idee che la vita, molte volte, porta su sentieri tortuosi, pullulanti di insidie a cui si può far fronte solo se ci si lascia guidare da bussole come:

la fortezza, capace di condurre gli uomini nel luogo in cui è incastonata l’Excalibur, che potrebbe permetterci di sconfiggere tutto ciò che alimenta le nostre angosce; la temperanza, la quale fa da sordina del suono che emettono le azioni che compiamo o che decidiamo di compiere; la speranza, che consente di trovare la torcia della vita anche nelle notti più buie della nostra esistenza; la carità, che ci porta a contemplare la “bellezza” dell’esistere, per e con gli altri, e che sorregge il nostro pianeta come fosse il titano Atlante.

Farsi condurre da quelle che molti teologi e poeti del passato hanno definito “virtù cardinali” significa non privarsi dell’opportunità di disporre di un appiglio che possa permetterci di risollevarci ogni qualvolta veniamo mandati al tappeto dai ganci sferrati dalla cupidigia, dall’avarizia e dalla vanità che ci stanno sempre più pestando gli occhi e il cuore, fino al renderci incapaci di vedere la bellezza nelle piccole cose o in quelle apparentemente sgraziate… poiché, citando indegnamente De André: «Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior».

Simone Andrani

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