“Tanto ci sarà da lavorare in Italia, ma non ci sgomenta, lavoreremo e ricostruiremo la nostra vita e non ci sarà gioia più grande; siamo giovani e l’entusiasmo non ci manca”.
Questo è un estratto di una lettera in cui Anna Enrica Filippini-Lera, una donna ebrea resasi protagonista della liberazione di Roma dai nazi-fascisti dopo essere sfuggita alle loro barbarie, esortava il padre a non credere nemmeno per un istante che i giovani non avessero spina dorsale e che fossero del tutto incapaci di costruire un futuro di gran lunga migliore rispetto al passato; sebbene le parole utilizzate nella commovente lettera appaiano assai remote, riecheggiano ancora oggi nell’aria poiché, così come una grande percentuale dei giovani di allora era mossa dal desiderio di “defibrillare” un’umanità sincopata dall’azione di un qualche tiranno intenzionato a ridurre in polvere il concetto di libertà, moltissimi giovani del nostro tempo sono alimentati dalla volontà di intervenire, con ogni mezzo a loro disposizione, su di un mondo che, a causa della scelleratezza di coloro che lo abitano o che l’hanno abitato, attraversa un momento di profonda crisi politica, economica, socioculturale e persino climatica.
In virtù di ciò che i media hanno fatto filtrare in molte occasioni, non mancano certo impavidi fanciulli intenzionati a cambiare il corso degli eventi; senza arrovellarsi troppo su possibili esempi da fare, anche solo per puro campanilismo, sarebbe opportuno prendere in considerazione giovani cuor di leone come Matteo Di Paola e Marco Primiceri, due casaranesi di 25 e 26 anni, che una volta laureatisi rispettivamente a Milano in Economia e a Torino in Design, hanno deciso di far ritorno nella loro terra e di investire buona parte delle loro risorse culturali ed economiche nella realizzazione di un progetto di portata “copernicana” per via dell’impatto che potrebbe avere su vari settori e che, di recente, li ha portati alla finale regionale della Start Cup, un’importante competizione per imprese emergenti, consentendo loro di aggiudicarsi il “Premio CETMA” per la transizione ecologica e il “Premio ProBAN” per la pianificazione aziendale.
La portata rivoluzionaria di un progetto come quello a cui Marco e Matteo hanno dato seguito è data dal fatto che esso preveda la produzione e la distribuzione della “Servati”, una calzatura che seppur composta da suola e tomaia, differisce dalle altre poiché prende forma per mezzo di stampanti 3D e per essere assemblata non necessita di colle, solventi, vernici, cuciture o tantomeno chiodi, ma bensì di un sistema d’incastri facente sì che l’affascinante prodotto in questione sia ecosostenibile e in grado di poter essere facilmente scomponibile e riutilizzabile al fine di sfruttare il materiale con cui la sneaker viene realizzata, in prodotti di altro genere, come ad esempio borse, occhiali e cinturini per orologi; considerando ciò che si è detto in precedenza, ai due baldi imprenditori va senza dubbio riconosciuto il merito di aver voluto trasformare un loro sogno in una solida realtà dietro cui, oltre a celarsi una certa determinazione nel far comprendere, alle vecchie e alle nuove generazioni, quanto occorra impegnarsi per sopperire ad un passato i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti, sembra celarsi anche un grande fervore nel voler provare che ci si possa realizzare senza necessariamente dover abbandonare la propria “culla”.
Sebbene Matteo e Marco abbiano dimostrato una grande audacia, non sono stati esentati da critiche, in quanto, a detta loro, molti coetanei li hanno tacciati di scelleratezza per via della loro decisione di fare ritorno nel profondo Sud, rinunciando di fatto a un lavoro stabile che seppur poco gratificante, consente di godersi la vita senza troppe preoccupazioni; all’origine delle critiche mosse nei confronti dei due illuminati casaranesi non vi è soltanto l’accidia, dietro cui si rifugiano giovani paralizzati dalla paura di inseguire i propri sogni, ma anche, e soprattutto l’immobilismo delle istituzioni, ree di averla incentivata. Checché se ne possa dire riguardo agli uomini e alle donne del futuro, è innegabile che essi debbano mettersi ed esser messi nelle condizioni di librarsi in volo emulando il gabbiano Jonathan Livingston che, secondo Richard Bach (il suo creatore), vola sempre alto senza però perder mai il contatto con la terra che lo ha nutrito e continua a nutrirlo, così da poter dire a gran voce:
« Siamo ragazzi di oggi noi, abbiamo il mondo davanti a noi e viviamo con il sogno di poi, noi siamo diversi ma tutti uguali, abbiam bisogno di un paio d’ali e di stimoli eccezionali».*
Simone Andrani
*Luis Miguel,” Noi ragazzi di oggi”, 1985