Non è un articolo della Komsomol’skaja Pravda negli anni ‘70. Non è un editoriale dell’Huánqiú Shíbào.
È un’inchiesta pubblicata lo scorso 10 febbraio su Il Sole 24 Ore che racconta un Paese in cui il 70% dei giovani ha sperimentato sentimenti di depressione o disperazione nell’ultimo anno, in cui più della metà ha perso interesse nei rapporti sociali e lavorativi, in cui il 55% non trova più piacere nella vita sociale e nelle relazioni umane.
Un Paese in cui i giovani si sentono isolati, abbandonati, privi di speranza. Un Paese in cui solo il 37% andrebbe a votare, mentre il 52% resterebbe a casa. Un Paese in cui quasi quattro giovani su dieci hanno evitato di vedere amici o parenti perché non si sentivano bene.
Dal primo Consiglio Comunale ho sempre ribadito un concetto chiave: bisogna puntare e valorizzare i giovani. Nel Consiglio Comunale del giugno ’22, quando si parlava di visione della città e si ipotizzava la riapertura dello sportello Informagiovani (ma in versione virtuale), ho detto chiaramente:
“I ragazzi devono avere la possibilità di scambi fisici e di confronto. Se non educhiamo i giovani a un rapporto umano autentico, sviliremo la nostra società.”
Oggi, due anni dopo, leggiamo dati che raccontano un dramma sociale. L’isolamento giovanile non è più solo una sensazione passeggera, ma un fenomeno diffuso con conseguenze reali.
Le istituzioni hanno fatto abbastanza per affrontare questo problema? I dati dicono di no. Bisognava fare di più e bisogna agire ora.
Quando una generazione perde fiducia nella società, nella politica e nel lavoro, è inevitabile che cerchi vie alternative per sentirsi realizzata o economicamente indipendente. Se il mondo del lavoro è precario e non offre garanzie, perché sorprendersi se alcuni giovani scelgono strade diverse, talvolta rischiose, per guadagnare?
“Ma perché devo andare a lavorare se alcune mie coetanee in una settimana guadagnano quanto io guadagno in cinque mesi ‘vendendosi’ su OF?”
“Ma perché devo andare a lavorare se alcuni miei coetanei in una settimana guadagnano quanto io guadagno in cinque mesi piazzando dosi di MMERDA BIANCA?”
Queste frasi non sono solo provocazioni. Sono ciò che ho letto e sentito. Sono il sintomo di un sistema che ha fallito nel trasmettere valori, prospettive e fiducia. Se il lavoro tradizionale appare solo come sfruttamento e sacrificio senza ritorno, se il merito sembra non essere premiato, se il futuro è percepito come un vicolo cieco, perché meravigliarsi se tanti giovani cercano soluzioni al di fuori dei percorsi convenzionali? Non voglio fare il cinquantenne bacchettone, chiaramente ognuno per se può fare ciò che meglio crede.
Abbiamo fatto abbastanza per i giovani?
Abbiamo creato spazi per l’incontro, il confronto, la crescita?
Abbiamo ascoltato le loro paure e le loro richieste?
La politica, le istituzioni, la società civile non possono più girarsi dall’altra parte. Dobbiamo agire. Ora.
Dobbiamo investire in luoghi di aggregazione, opportunità di crescita, spazi di ascolto. Dobbiamo ridare fiducia e speranza.
Marco Mastroleo